La Civiltà Eneolitica
A Laterza, e nel suo vasto territorio, alla fine
del III millennio a.C., si sviluppò la CiviltàEneolitica.
Questa civiltà risale a gruppi di metallurgici e marinai che verso la fine del
III millennio furono costretti ad emigrare dalle steppe Ponto-caucasiche verso
l’Occidente, raggiungendo dopo l’Anatolia
e i Balcani, l’Italia Meridionale ove, nel territorio di Laterza, si
accomunarono fra contesti economici, culturali e agricoli indigeni.
I “gruppi di Laterza”, si
inserirono tra i villaggi rurali e si adattarono alle caratteristiche del nuovo
territorio, ricchi di percorsi fluviali, di selvaggina e di anfratti nelle
gravine, elaborando un’economia ed una
cultura autonoma senza dimenticare le tradizioni economico-culturali delle
regioni di provenienza caratterizzati da
una metallurgia del rame (assente nel nostro territorio) e dall’adattamento
economico cui furono costretti nelle regioni dell’Italia Sud-orientale, il cui
territorio offriva solo l’occasione per l’elaborazione di una cultura fondata
esclusivamente sulla caccia-pesca. Da qui lo sviluppo della Civiltà Appenninica
i cui insediamenti erano luoghi di sosta all’aperto o in grotte al fine di
facilitare la “transumanza”.
La Civiltà Eneolitica di Laterza è posteriore a quella di Matera e del Pulo di Molfetta, e da essa si differenzia sostanzialmente perché diversa era l'organizzazione sociale, l'economia, l'ideologia dei raggruppamenti umani. Gli Eneolitici di Laterza erano cacciatori, pescatori e pastori nomadi e seminomadi. Abitavano le caverne della nostra Gravina dove cacciavano la selvaggina stagionale e stanziale come cervi, daini, cinghiali, lepri. Tale territorio era ricco anche di fauna fluviale, grazie alle acque del Talvio, oggi Lato, che scorre lungo il fondo della Gravina e raccoglie le acque pluviali delle colline della Murgia. Il territorio laertino, ricco di pascoli per il bestiame (capre, suini, bufali), agevolava la pratica della pastorizia e faceva dei Laertini, capaci addomesticatori di animali selvatici. Asserisce il Biancofiore che tra le manifestazioni culturali che caratterizzano il II millennio in Puglia, la “Civiltà di Laterza” è la più interessante e suggestiva. Le maggiori testimonianze di questa civiltà consistono in ipogei funerari di varie dimensioni, costituiti da una camera scavata nel sottosuolo, cui si accede per mezzo di un corridoio o di un pozzetto.
Nel 1965 fu scoperta la necropoli più ricca in località “Valle delle Rose”, contrada Candile, presso il torrente Lato, un tempo ricco di acque, con ipogei funerari singoli o di gruppo. Le nove tombe, sette a grotticella, una a fossa e una già spogliata, scoperte dal Biancofiore in quella località, formano la “necropoli eneolitica”. Le tombe di questa necropoli hanno restituito una documentazione così ricca da poter parlare di “Civiltà di Laterza”. Il tipo di sepoltura usato prevalentemente è quella collettiva, ed è espressione del sentimento di gruppo fortemente radicato e sentito che doveva unire in vita i suoi componenti. La suppellettile degli ipogei della “Civiltà di Laterza” consiste in un ricco vasellame, in oggetti di ornamento personale e strumenti in selce ed in osso di uso quotidiano. L’economia prevalente di queste genti era fondata essenzialmente sulla caccia e sulla pesca come attestano gli strumenti litici trovati nello scavo: il territorio frequentato dai “gruppi di Laterza” dava soltanto possibilità di caccia terrestre e caccia-pesca nei torrenti allora attivi; si svolgeva poi nel vasto hinterland laertino attività agricola nei terreni e nelle zone boscose e steppose, l’attività venatoria. Tra gli oggetti di ornamento personale, usavano come materia prima ciottoli in rocce varie del posto, legno, valve di conchiglia, ossi animali (zanne di cinghiale, dente di cervo).
La Civiltà Eneolitica di Laterza è posteriore a quella di Matera e del Pulo di Molfetta, e da essa si differenzia sostanzialmente perché diversa era l'organizzazione sociale, l'economia, l'ideologia dei raggruppamenti umani. Gli Eneolitici di Laterza erano cacciatori, pescatori e pastori nomadi e seminomadi. Abitavano le caverne della nostra Gravina dove cacciavano la selvaggina stagionale e stanziale come cervi, daini, cinghiali, lepri. Tale territorio era ricco anche di fauna fluviale, grazie alle acque del Talvio, oggi Lato, che scorre lungo il fondo della Gravina e raccoglie le acque pluviali delle colline della Murgia. Il territorio laertino, ricco di pascoli per il bestiame (capre, suini, bufali), agevolava la pratica della pastorizia e faceva dei Laertini, capaci addomesticatori di animali selvatici. Asserisce il Biancofiore che tra le manifestazioni culturali che caratterizzano il II millennio in Puglia, la “Civiltà di Laterza” è la più interessante e suggestiva. Le maggiori testimonianze di questa civiltà consistono in ipogei funerari di varie dimensioni, costituiti da una camera scavata nel sottosuolo, cui si accede per mezzo di un corridoio o di un pozzetto.
Nel 1965 fu scoperta la necropoli più ricca in località “Valle delle Rose”, contrada Candile, presso il torrente Lato, un tempo ricco di acque, con ipogei funerari singoli o di gruppo. Le nove tombe, sette a grotticella, una a fossa e una già spogliata, scoperte dal Biancofiore in quella località, formano la “necropoli eneolitica”. Le tombe di questa necropoli hanno restituito una documentazione così ricca da poter parlare di “Civiltà di Laterza”. Il tipo di sepoltura usato prevalentemente è quella collettiva, ed è espressione del sentimento di gruppo fortemente radicato e sentito che doveva unire in vita i suoi componenti. La suppellettile degli ipogei della “Civiltà di Laterza” consiste in un ricco vasellame, in oggetti di ornamento personale e strumenti in selce ed in osso di uso quotidiano. L’economia prevalente di queste genti era fondata essenzialmente sulla caccia e sulla pesca come attestano gli strumenti litici trovati nello scavo: il territorio frequentato dai “gruppi di Laterza” dava soltanto possibilità di caccia terrestre e caccia-pesca nei torrenti allora attivi; si svolgeva poi nel vasto hinterland laertino attività agricola nei terreni e nelle zone boscose e steppose, l’attività venatoria. Tra gli oggetti di ornamento personale, usavano come materia prima ciottoli in rocce varie del posto, legno, valve di conchiglia, ossi animali (zanne di cinghiale, dente di cervo).