Le Specchie, Monumenti Megalitici del Paleolitico
Gli archeologi chiamano col nome "specchie" i cumuli artificiali di
pietre presenti nel nostro territorio, in forma di torri di vedetta o di monumenti
sepolcrali e luoghi di culto, dal Latino "speculum", cioè specchio: si tratta di cumuli artificiali di
pietre a forma di grandi coni alti fino a 18 metri, circondati da un muro e
racchiudenti “tombe a cassa” e
corredo di tradizione appenninica mista a forme della prima Età del ferro. Essi
sono considerati monumenti megalitici preistorici affini ai dolmen e ai menhir così frequenti nella nostra regione, testimonianza del Neolitico.
Gli esperti le definirono tombe di re preistorici o di insigni personaggi. Altri archeologi sostennero che esse costituivano un intero sistema strategico in atto presso le popolazioni preistoriche delle nostre zone; altri ancora le definiscono costruzioni molto simili ai trulli della Valle d'Itria o ai nuraghi della Sardegna, utilizzati sia per abitazione, sia per difesa, che come punti di riferimento. Gli agrimensori latini nel I secolo d.C., incaricati dagli Imperatori della divisione delle nostre terre ai coloni romani, reduci dalle campagne di guerra, le indicarono con il norme di "scoro-fiones", "scorpiones", "machaeris", "congeries Lapidem". Fu durante il Medioevo che le antiche denominazioni latine furono modificate in "speculae", cioè vedetta, altura. Laterza, come tanti altri paesi della Terra d'Otranto, annovera numerose specchie, come già registrato da diverse piantine topografiche del XVI-XVII-XVIII secolo, nelle cui descrizioni spesso esse sono richiamate, come punto di riferimento. Esse, con i dolmen e i menhir, costituiscono testimonianze uniche del periodo Neolitico nella nostra zona. Il termine si è poi tramandato nel linguaggio grafico e verbale fino ai giorni nostri poiché alcune specchie sono ancora lì a testimoniare millenni di storia. Se ne individuano di tre tipi: una a guardia delle coste, un'altra sulle colline, ed è il caso di Laterza, comunicante visualmente con le prime, una terza serie è nella parte centrale del Salento, sui picchi più elevati. Lo storico Mauro Perrone pubblicò, dopo averle individuate, ben 11 specchie ergentesi al confine fra i territori di Laterza e Castellaneta ricavando l'elenco da un diploma di Filippo II, principe di Taranto nel 1376: una è situata lungo la via tra Matera-Gioia-Laterza; la seconda, terza, quarta, quinta sono collocate nella palude di Vallati e dintorni; la sesta è fra la terra della Chiesa S. Nicola e la Chiesa di S. Maria di Laterza; la settima è in cima alle terre dette de Colangiis; l'ottava tra le terre di Nicola de Agarii di Castellaneta e del giudice Idrammi di Laterza; la nona è detta de Tufarolis; la decima è posta "super criptam veteram"; l'undicesima è la cosiddetta Guardiola. Sotto l'odierna dicitura di Castelluccio si individuano ancora nel nostro territorio tre specchie: la prima a 5 km a destra della SS 7 per Castellaneta; la seconda nella Selva San Vito, ai confini con la contrada Bosco, sulla strada che porta all'attuale masseria Specchia di Castellaneta, a 3 km da Laterza; la terza dietro il Convento dei Cappuccini.
Gli esperti le definirono tombe di re preistorici o di insigni personaggi. Altri archeologi sostennero che esse costituivano un intero sistema strategico in atto presso le popolazioni preistoriche delle nostre zone; altri ancora le definiscono costruzioni molto simili ai trulli della Valle d'Itria o ai nuraghi della Sardegna, utilizzati sia per abitazione, sia per difesa, che come punti di riferimento. Gli agrimensori latini nel I secolo d.C., incaricati dagli Imperatori della divisione delle nostre terre ai coloni romani, reduci dalle campagne di guerra, le indicarono con il norme di "scoro-fiones", "scorpiones", "machaeris", "congeries Lapidem". Fu durante il Medioevo che le antiche denominazioni latine furono modificate in "speculae", cioè vedetta, altura. Laterza, come tanti altri paesi della Terra d'Otranto, annovera numerose specchie, come già registrato da diverse piantine topografiche del XVI-XVII-XVIII secolo, nelle cui descrizioni spesso esse sono richiamate, come punto di riferimento. Esse, con i dolmen e i menhir, costituiscono testimonianze uniche del periodo Neolitico nella nostra zona. Il termine si è poi tramandato nel linguaggio grafico e verbale fino ai giorni nostri poiché alcune specchie sono ancora lì a testimoniare millenni di storia. Se ne individuano di tre tipi: una a guardia delle coste, un'altra sulle colline, ed è il caso di Laterza, comunicante visualmente con le prime, una terza serie è nella parte centrale del Salento, sui picchi più elevati. Lo storico Mauro Perrone pubblicò, dopo averle individuate, ben 11 specchie ergentesi al confine fra i territori di Laterza e Castellaneta ricavando l'elenco da un diploma di Filippo II, principe di Taranto nel 1376: una è situata lungo la via tra Matera-Gioia-Laterza; la seconda, terza, quarta, quinta sono collocate nella palude di Vallati e dintorni; la sesta è fra la terra della Chiesa S. Nicola e la Chiesa di S. Maria di Laterza; la settima è in cima alle terre dette de Colangiis; l'ottava tra le terre di Nicola de Agarii di Castellaneta e del giudice Idrammi di Laterza; la nona è detta de Tufarolis; la decima è posta "super criptam veteram"; l'undicesima è la cosiddetta Guardiola. Sotto l'odierna dicitura di Castelluccio si individuano ancora nel nostro territorio tre specchie: la prima a 5 km a destra della SS 7 per Castellaneta; la seconda nella Selva San Vito, ai confini con la contrada Bosco, sulla strada che porta all'attuale masseria Specchia di Castellaneta, a 3 km da Laterza; la terza dietro il Convento dei Cappuccini.