U SCARPAR' (IL CALZOLAIO)



Anni '40-'50 ...
L'arte non era difficile, né l'arredamento di una bottega
era molto dispendioso.
Un ripostiglio di due o tre mq., un martello, un trincetto (punteruolo), una lesina (coltello),
alcune sagome per scarpe, un ago, lo spaghetto,
un po' di pece erano sufficienti per aprire una bottega.
Il mestiere si apprendeva fin da bambini.
Dopo la chiusura delle scuole, infatti,
le mamme mandavano i loro figli alla bottega
per l'apprendimento di un mestiere e per evitare che con scorribande per le strade ghiaiose del paese rovinassero prima del tempo le scarpe .
Il tirocinio durava parecchi anni dopo la scuola elementare.
I ragazzi dovevano imparare prima a raddrizzare i chiodini recuperati dalla tomaia, ad appuntire lo spago con la setola di maiale o di cinghiale intrecciata, ad infilare il filo nella cruna, a
passarvi la pece per renderlo più resistente, a tagliare il cuoio in modo preciso, a passare la carta vetrata per rendere il lavoro perfetto.
Il momento della forgiatura della tomaia e della cucitura erano le fasi finali degli apprendisti..
Dopo circa cinque anni di esperienza i giovani erano capaci di fare tutto.
Il maestro inizialmente affidava loro i lavori meno impegnativi e più rudi;
di solito li faceva esercitare su scarpe di un familiare.
Dopo, divenuti autonomi, i giovani artieri aprivano una bottega per conto proprio.
(da: Vita e Costume nei comuni tra Puglia e Basilicata)